L’argomento sul cloud nazionale ha sollevato molte discussioni e molte asperità. In molti danno per scontato la partecipazione delle BigTech al programma del Cloud Nazionale come unica risorsa al problema. È parere di chi scrive che ciò sia un errore per una serie di motivazioni che saranno spiegate di seguito.
La critica alla carenza di Cloud Service Provider (CSP)
In molti commenti può capitare di leggere che in Europa non vi sarebbero provider qualificati ad erogare servizi cloud. Tale affermazione non corrisponde a verità: la Francia, ad esempio, fa affidamento sul provider OVH per la realizzazione dell’infrastruttura cloud. OVH è un’azienda tra le più note nel settore ed è riconosciuta per la bontà dei servizi e delle infrastrutture. La Germania può contare su aziende come Hetzner per l’erogazione di servizi a pubbliche amministrazioni e cittadini. Non corrisponde quindi a verità che non vi sono realtà industriali capaci, competenti e adeguate. Molto probabilmente non ne può bastare una sola per gestire l’intera mole di dati di un cloud pubblico ma non c’è motivo di ritenere che si debba accentrare tutto su un unico provider.
La critica all’inadeguatezza italiana dei CSP
La seconda critica più comune è che in Italia non vi sono realtà imprenditoriali sufficientemente preparate, competenti, grandi e quanto altro. Tali dichiarazioni spesso non sono motivate, né supportate da alcuna prova ma semplicemente sembrano gettare discredito su un paese il cui tessuto imprenditoriale ed industriale non è da meno di quelli di altri paesi.
Al fine di portare alcuni esempi pratici si ritiene opportuno citare aziende, nomi di imprenditori, nonché link di interviste rilasciate all’editoriale Key4Biz. Di Key4Biz è apprezzabile la numerosità degli interventi che sono stati raccolti nel tempo; un notevole lavoro di analisi del mercato che oggi fornisce una risposta concreta ai tanti che sono dubbiosi o estendono critiche sterili al quadro imprenditoriale nazionale.
Possiamo cominciare dall’azienda CSI Piemonte, a detta delle dichiarazioni del Dott. Pietro Pacini, prima azienda qualificata come cloud service provider e realizzatrice della piattaforma Nivola.
Proseguiamo con l’azienda Italtel, intervistata nell’ormai lontano 2012 dallo stesso Barberio. Il Dott. Camillo Ascione dichiarò che l’azienda era cloud builder di CISCO e stava intraprendendo per prima la certificazione come master cloud builder.
Mi piace citare la Assinter, conosciuta grazie all’intervista al Dott.Paolo Piccini. Azienda italiana con 7.000-8.000 dipendenti con un fatturato di oltre un miliardo di euro che, una realtà imprenditoriale solida e molto seria che ha risposto in modo molto concreto alle richieste delle pubbliche amministrazioni locali.
La decisione di pubblicare questi video che, come già detto, fanno riferimento ad anni anche piuttosto datati, ha lo scopo di dimostrare un’Italia imprenditoriale lungimirante, competente e di qualità. Non si tratta quindi di soluzioni tecnologiche campate in aria o costruire all’ultimo momento, bensì di realtà aziendali che hanno creduto in un progetto che si sta concretizzando e che dovrebbe essere opportunamente supportato dallo Stato.
È opportuno inoltre precisare che la maggior parte dei commenti letti dal sottoscritto e a detrimento dei provider nazionali riguardano la qualità di servizi che non hanno nulla a che vedere con i servizi cloud ma, spesso, con i servizi di hosting (ad esempio prezzi alti e qualità non ritenute sufficientemente elevati rispetto a competitor). Si tratta di un modo di valutare le aziende a dir poco superficiale se non addirittura becero, considerando che il cloud nazionale dovrà essere soggetto a regole tecniche al parti di SPID, della PEC, della firma digitale e che quindi la qualità del servizio del provider A sarebbe almeno identica, se non più performante, a quella di un ipotetico provider B.
Un’Italia diversa è possibile
Non vi sono ragioni per supporre che le aziende nazionali, collaborando, possano soddisfare le esigenze di realizzazione del cloud nazionale. Nessuno intende escludere i partenariati con le BigTech ma sarebbe opportuno anteporre prima l’interesse nazionale di quello internazionale, permettendo di costruire tali partenariati su basi solide ed in modo circoscritto alle sole tecnologie realmente indispensabili. È un’occasione importante per le imprese italiane che, da anni, dimostrano di avere le competenze per affrontare questa sfida. Ho notato che ad alcuni commentatori Raffaele Barberio ha risposto con “ti sbagli, non conosci il mercato cloud italiano” e probabilmente tale affermazione non è poi così sbagliata.