Che Internet sia cambiata negli ultimi dieci anni è un’affermazione scontata ma forse, ma forse in passato, difficilmente si sarebbe potuto immaginare l’evoluzione che avrebbe preso.
La grande rivoluzione
I rapporti umani, che inizialmente si sono “ritrovati” all’interno di siti statici e forum di discussione regolati da umani e specifiche norme comportamentali, si sono trasformati gradualmente. L’evoluzione tecnologica ha creato contenitori sempre più ampi, rarefatti e generici: i social network. Da questi è nata una forma d’interazione nuova: un unico contenitore poteva contenere informazioni di ogni tipo.
Prima ci si recava su forum tematici o discussioni tematiche, poi si è passati alla propria pagina. Il contenitore non aveva più un’etichetta specifica, poteva servire a tutto: foto, video, post sulle vacanze, sulla politica, sugli attacchi terroristi. Sulle pagine social si sono alternate foto di gattini e video di massacri. Questa è stata la grande rivoluzione: rendere internet un contenitore “vuoto” in grado di contenere tutto e il contrario di tutto.
Contenitore e contenuto
Ma il contenitore è di per sé generico e si è caricato di una poliedria pericolosa perché tutto è mischiato e, come insegna la chimica, alcune reazioni rischiano di essere esplosive. Il contenitore si è caricato di un contenuto di varia natura e di varia qualità. Sono comparsi post inesatti, estremi, radicali che sono stati definiti opinioni, ma l’opinione è qualcosa di diverso. Se la Treccani dice la verità, la definizione contiene un passaggio importante:
Opinione: concetto che una o più persone si formano riguardo a particolari fatti, fenomeni, manifestazioni, quando, mancando un criterio di certezza assoluta per giudicare della loro natura (o delle loro cause, delle loro qualità, ecc.), si propone un’interpretazione personale che si ritiene esatta e a cui si dà perciò il proprio assenso, ammettendo tuttavia la possibilità di ingannarsi nel giudicarla tale: fino a che non sia dimostrata la verità, tutte le o. possono essere ugualmente vere o false.
Il passaggio importante è “fino a che non sia dimostrata la verità, tutte le opinioni possono essere ugualmente vere o false”. Ma questo significa due cose:
- C’è qualcuno di più autorevole che dimostra la veridicità o la falsità dell’opinione. Accreditandola o screditandola.
- L’opinione, fino a quando non viene accreditata, non ha il medesimo valore della verità.
La verità dell’opinione
In un contenitore dove si affollano centinaia di opinioni, la voci autorevoli delle fonti deputate ad accreditarle o screditarle vengono rifiutate. Ognuno si ritiene fonte accreditabile ed autorevole ed il proprio punto di vista, condiviso per centinaia e migliaia di volte, diviene verità popolare. Ma la verità popolare, quella che potremmo definire verità de facto, non ha (e non avrà mai) l’autorevolezza della verità de iure.
Negli anni sono stati contestati i risultati di test chimici, test di fisica, indagini di istituti, risultati accademici, evidenze scientifiche, in nome di questo o quel principio di fama. Il processo di affermazione popolare non crea la verità, perché la verità quando diventa tale (soprattutto quella scientifica) è percepita come scomoda, si disinteressa di opinioni, paure, sentimenti. La massa, informe, si divide autonomamente per contenitori: chi afferma l’idea che piace, ottiene follower. Chi afferma l’idea che non piace, ottiene dislike.
La nascita dei tribunali popolari elettronici
È così che, lentamente, le fazioni di opinionisti sono cresciute incontrastate dando vita ad uno scontro su argomenti sempre più delicati. Dalla presenza della grafite nel sangue umano, alle verità nascoste sugli attacchi terroristici, note però solo all’opinionista di Facebook che vive nel piccolo paese. Nietzsche scrisse una frase meravigliosa: qualsiasi spiegazione è meglio di nessuna spiegazione (Fonte: “Crepuscolo degli Idoli”, F. Nietzsche, 2021, Feltrinelli, Pg. 45).
Durante la pandemia circolarono ipotesi così tanto assurde al fenomeno vaccinale e infettivo che alcune richiesero una smentita autorevole. La Commissione Europea dovette scrivere una pagina web per arginare la crescente fioritura di atteggiamenti complottisti e pubblicò un articolo intitolato “Individuare le teorie del complotto“.
Con la pandemia di coronavirus abbiamo assistito a un aumento di teorie del complotto dannose e fuorvianti, diffuse principalmente online
Fonte: Commissione Europea (LINK)
Ma il processo ormai è inarrestabile perché quei contenitori si sono etichettati da soli e non per area tematica, bensì per “paure”. Ma se due fazioni si scontrano i toni non potranno essere civili: non esiste nella storia uno scontro tra due gruppi che avvenga senza falli, senza incidenti, senza vittime (siano esse persone o valori). Lentamente è iniziato il processo di giudizio in merito al fatto che l’altra parte ha torto. E si è cominciato a brandire la verità de facto come unica. Così sono nati i tribunali popolari elettronici, in cui si trovano esponenti di tutte le classi: laureati e non laureati, ricchi e poveri, adulti e ragazzini, senza alcuna distinzione, senza alcun ruolo ufficiale, tutti sono convinti di averne uno.
E alla fine, molto più evidentemente di quanto ci si aspettasse, nacquero comportamenti alternativi alla giurisprudenza riconosciuta: le denunce verso un commentatore spregevole vengono solo dopo averlo umiliato pubblicamente. La condanna popolare viene prima di quella legislativa, producendo effetti diversi. C’è chi scappa dai social, chi prova a difendersi schiacciato dai commenti degli appartenenti all’altra fazione, il tutto molto spesso con un condimento di turpiloquio e offese di varia natura.
L’affermazione del Far Web
Andrea Lisi coniò il termine Far Web (ormai molti anni fa) per designare una landa in cui le regole vengono stabilite dai duellanti, un giorno dopo l’altro, senza uno schema preciso. E ciò che questa rappresentazione dovrebbe suggerire è la preoccupante mancanza di un ordine costruttivo ed evolutivo della rete che, come scopo principale, aveva la diffusione della cultura e del benessere. Come preambolo alla “Dichiarazione dei Diritti in Internet“, la Camera dei Deputati scrisse:
Internet ha contribuito in maniera decisiva a ridefinire lo spazio pubblico e privato, a strutturare i rapporti tra le persone e tra queste e le Istituzioni. Ha cancellato confini e ha costruito modalità nuove di produzione e utilizzazione della conoscenza. Ha ampliato le possibilità di intervento diretto delle persone nella sfera pubblica. Ha modificato l’organizzazione del lavoro. Ha consentito lo sviluppo di una società più aperta e libera. Internet deve essere considerata come una risorsa globale e che risponde al criterio della universalità.
Ha senso chiedersi se queste affermazioni siano ancora del tutto valide o se esse lo siano solo in parte e se, in realtà, lo scenario sia andato via via degradandosi pur restando uno strumento essenziale per la società attuale. Si sarebbe potuto far meglio? Si sarebbe potuta supervisionare la condizione di sviluppo digitale della società? In che modo? Sono domande che è necessario continuare a porsi, sperando di trovare una risposta adeguata.