I continui dibattiti sull’orizzonte dell’intelligenza artificiale stanno evidenziando maggiormente un particolare punto rispetto al passato: l’antropocentrismo è stato messo in crisi da una soluzione umana, come sciogliere questo paradosso? Come interpretare il fenomeno?
Heidegger: il ruolo della filosofia
Ancora una volta la filosofia, disciplina di cui ormai si sente parlare ben poco, potrebbe fare la differenza perché, nel suo silente osservare e ragionare, ha effettivamente predetto quanto poi è accaduto. La predizione, quasi profetica ma in realtà molto intelligente, è stata chiaramente scritta dal filosofo Heidegger che, a ragione, viene considerato il più grande filosofo del ‘900.
Nel 1966 Martin Heidegger viene intervistato dal direttore del “Der Spiegel”, la famosa rivista tedesca; questa intervista sarà pubblicata “solo” dieci anni dopo e avrà come titolo “Ormai solo un dio ci può salvare”. In uno dei passaggi di questa intervista Heidegger dichiara un concetto che rimarrà scolpito nella storia.
Tutto funziona. Questo è appunto l’inquietante, che funziona e che il funzionare spinge sempre oltre verso un ulteriore funzionare e che la tecnica strappa e sradica l’uomo sempre più dalla terra. Non so se Lei è spaventato, io in ogni caso lo sono stato appena ho visto le fotografie della Terra scattate dalla Luna. Non c’è bisogno della bomba atomica: lo sradicamento dell’uomo è già fatto. Tutto ciò che resta [sono problemi] di pura tecnica. Non è più la Terra quella su cui oggi l’uomo vive.
Fonte: Intervista a Martin Heidegger (LINK)
Tecnica e Razionalità
Heidegger non era impazzito: quando parla di sradicamento dell’uomo il concetto va chiarito. Heidegger sostiene che l’uomo, nel corso dei secoli, ha affinato la tecnica come elemento di massima razionalizzazione del pensiero umano e ha affidato alla tecnica la sua vita. La tecnica, tuttavia, non prevede altro che la funzionalità, l’azione di calcolo. Non vi è posto, all’interno della tecnica, per l’essere umano, per le sue “passioni”, per ciò che è giusto e ingiusto, buono o cattivo, bello o brutto. La società moderna è orientata ad una tecnica che da una parte “rassicura” l’essere umano perché apparentemente in grado di risolvere i problemi, dall’altra non ha bisogno dell’essere umano e della sua umanità.
Il problema non sarebbe la tecnica in quanto tale ma il fatto che essa sia diventata il “modello unico” di pensiero della società, escludendo tutto quanto sia meno funzionale ma più umano. In una meravigliosa intervista di Umberto Galimberti a proposito del suo libro su Heidegger, il filosofo illustra questo passaggio spiegando che l’uomo transita da “soggetto di vita” a “funzione di apparato”.
L’uomo diviene, per l’appunto, un ingranaggio che serve all’apparato per il suo funzionamento. L’apparato analizza, valuta, razionalizza, assegna ruoli, premia e penalizza ma non secondo una logica vitale, bensì secondo regole che non richiedono l’essere umano. L’apparato è stato creato dall’uomo, ma non necessita dell’uomo per rimanere in vita e vivere. Heidegger è molto in anticipo sui tempi quando parla del “tramonto dell’occidente” e non lo fa a causa di una vena di pessimismo, bensì a causa del fatto che oltre a questo modello di pensiero, non ve ne sia un altro in grado di mettere davvero l’uomo al centro.
Intelligenza artificiale
L’intelligenza artificiale si è affacciata all’orizzonte umano come una risorsa dall’inestimabile valore: può affrancare l’uomo dai lavori pesanti, usuranti, tossici. Può calcolare rapidamente soluzioni e contribuire a salvare vite ma, nonostante tutti questi benefici, si è affacciato un altro problema. Si comincia a valutare che l’intelligenza artificiale possa non aver bisogno dell’essere umano e che, anzi, egli possa costituire un problema al suo sviluppo. Perché se la tecnica è la massima razionalizzazione dell’essere umano, l’intelligenza artificiale ne è il suo più alto prodotto e come tale esclude a priori tutto ciò che non è funzione.
L’intelligenza artificiale diviene contemporaneamente il totem della grandezza della tecnica scientifica (τέχνη in greco significa “perizia” nell’accezione di “saper fare”) ma, al contempo, il rischio dell’esclusione umana. Sbaglia, sostiene Galimberti, chi fa derivare la tecnica dalla scienza: è un concetto sbagliato. La tecnica è l’essenza della scienza, in quanto è la sua vetta più alta ottenuta dall’uomo con la massima capacità di razionalità.
L’intelligenza Artificiale non fonda ma calcola.
Fonte: “Infocrazia”, Byung-Chul Han, Einaudi Editore, 2023
L’uomo si è trovato di fronte ad una condizione di impasse: da un lato una svolta epocale come risultato del suo ingegno e dall’altro l’inquietante sensazione di essere il primo oggetto di esclusione. Ecco perché la frase di Heidegger “Tutto funziona. Questo è appunto l’inquietante, che funziona e che il funzionare spinge sempre oltre verso un ulteriore funzionare.“
Come risolvere l’enigma
Sembrerebbe che l’essere umano sia arrivato ad un incrocio nel quale o salva se stesso, o salva la tecnica scientifica. La razionalità della tecnica scientifica sostituisce l’apprendimento discorsivo e, trovandosi in tale condizione opposta, l’essere umano deve scegliere “cosa salvare”. Prima di valutare una possibile strada percorribile, tuttavia, è necessario fare un passo indietro.
C’è un curioso parallelismo che si potrebbe sostenere riguardo alla filosofia di Platone: il filosofo greco viene considerato, a tutti gli effetti, il punto di svolta per la filosofia moderna. Platone ci ha parlato, esemplificando molto, di due dimensioni dell’essere umano. L’iperuranio (al di là del cielo) come dimensione in cui si formano le idee e un “mondo sensibile” in cui tali idee si realizzano come copia. In sostanza, se s’immagina la realizzazione di un mobile rettangolare, è perché nella mente esiste l’idea del rettangolo. Il mondo sensibile copia, ossia imita, l’iperuranio. Nell’attuale società moderna, dice Han, gli algoritmi imitano gli argomenti (si pensi al famoso imitation game da cui prenderà spunto Alan Turing). Dopo secoli: la riproposizione della filosofia di Platone cambia aspetto, ripropone una doppia dimensione ma con effetti più inquietanti per citare lo stesso Heidegger. L’uomo, infatti, ha realizzato (o ritiene di aver realizzato) ciò che Platone chiamava agathon ossia l’istanza suprema e lo ha fatto attraverso la megiston mathema (la scienza suprema). Karl Jaspers a questo proposito scriverà:
Nessuna fatica è abbastanza grande per giungere fino ad essa. È la sola cosa che abbia importanza. Il suo oggetto è il bene (agathon).
Fonte: “I grandi filosofi. K. Jasper”, di F. Costa, Longanesi, Pg. 359
Al momento non c’è una soluzione che consenta all’uomo di trovare il giusto equilibrio tra tecnica scientifica e esistenza dell’uomo stesso, quella che Heidegger chiama in-der-Welt-sein (essere-nel-mondo). Secondo Heidegger la mancanza di soluzione nasce da un linguaggio ormai compromesso a causa di una gestione tecnica della vita. Le parole, in sostanza, sono incapaci di restituire all’essere umano quella dimensione di “essere-nel-mondo” in quella che i filosofi chiamano, per l’appunto, Weltanschauung.
Secondo Heidegger sono necessarie “altre parole” che lui prova a cercare nella poesia ma qui è necessario fare un doveroso chiarimento. Quando Heidegger analizza la poesia di Hölderlin, lo fa con un preciso scopo che descrive in questo modo “la poesia di Hölderlin è per noi un destino“. Il poeta infatti è colui che, in modo libero e non vincolato dalla tecnica scientifica, è in grado di scoprire e produrre nuove parole e un nuovo linguaggio in grado di formare un “mondo sensibile” diverso, nuovo, in cui l’uomo può scoprire nuovamente la Weltanschauung.
Conclusioni
Parte di questo nuovo linguaggio viene creato dal filosofo Byung-Chul Han che nel volume “Le non cose” parla di infomi come di agenti che elaborano informazioni e l’intelligenza artificiale trasforma le cose in infomi secondo il filosofo. La società dell’intelligenza artificiale, secondo Han, è una società che derealizza il mondo attraverso il processo di informatizzazione.
L’essere umano avanza spedito in un tempo basato sull’informazione ma dove lo spazio per sè è fortemente messo in crisi dal modello iper-tecnico creato da se stesso. È necessario, probabilmente, un ripensamento della posizione umana in questo paradigma. Han parla dello stupore perso per una foto digitale, per qualcosa che sia percepito come limitato, finito, terreno e forse questa dimensione è quella giusta.