Questa sera ero seduto ad un tavolo al quale, ad un certo punto, si è cominciato a parlare di Internet libero. Sono anni che va avanti l’idea di un “Internet libero”, libero da censure, libero da blocchi e vincoli, libero da muri ideologico-virtuali ma questa libertà è veramente così auspicabile? Ragioniamoci un attimo.
Facciamo il punto…
Cina, anno 2015. I contenuti del mondo occidentale vengono censurati dallo Stato. Tutto ciò che è dentro la muraglia è ammesso. Tutto ciò che è fuori…è fuori. Durante una chiacchierata con la sociologa del diritto Manuela Angela Stefani, si affrontò il concetto di pluralismo giuridico[note]Si consiglia di approfondire gli studi di Georges Gurvitch[/note]. Wikipedia riporta questo termine come segue:
Lo Stato non è l’unica fonte delle regole giuridiche (esistono regole che nascono all’interno della società). Il diritto è uno perché si confonde con lo Stato (che è l’unico organo a fare diritto); il diritto è esclusivo per definizione.
D’altronde i fenomeni sociali della storia non mentono e c’è chi sostiene che la storia sia una spirale di eventi. La chiusura al mondo della Cina è, di per sé, rappresentata dalla stessa muraglia che impedisce l’ingresso, ma anche la scoperta del mondo esterno. Una mentalità progressista ma, al tempo stesso, tradizionalista che crea una realtà distaccata dal mondo sociale. La Cina è nota per le condizioni disagiate di lavoro, per i suicidi, oltre che per un a forza lavoro tanto forte quanto, in un certo senso, “malata”. Ma torniamo a noi…
Alla base della lotta per la libertà di Internet, vi è proprio la regolamentazione della “vita” all’interno della rete. La rete di per sé, è una “rete delle reti” (inter-net) ed offre diverse modalità di comunicazioni che la rendono fondamentalmente un mondo eterogeneo al quale affacciarsi. In sostanza ci sono milioni di possibilità per comunicare. Forse stiamo procedendo troppo velocemente, andiamo per gradi.
Come dicevo Internet è una rete-delle-reti. Nasce, quindi, dall’unione di reti private che, per svariati motivi, espongono servizi di varia natura (hosting, e-commerce, internet banking, etc…). È come se Internet fosse una strada con tante ramificazioni verso altrettante abitazioni. Ogni abitazione fosse una rete privata che, tramite la porta di ingresso, si affaccia su un mondo pubblico.
Il Diritto avrebbe lo scopo di regolamentare la vita su Internet ma per l’estrema complessità della rete, per problemi giurisdizionali/normativi, per dinamiche sociali, oltre che culturali, c’è un’incapacità a regolamentare in modo efficace ed organico, ciò che avviene sulla rete.
Da dove nasce questa “lotta”
La lotta nasce dalla volontà di difendere la privacy del singolo su Internet. Difenderla da tentativi di accesso abusivo da parte di società, corporazioni, enti governativi che, venendo meno ai diritti civili, avvalendosi di speciali poteri, superano la barriera di ciò che è lecito, andando a finire in ciò che non dovrebbe essere fatto: spiare il cittadino onesto.
Il più volte citato Edward Snowden ne è una prova. Fuggito da un sistema inquirente che, monitorando tutti, finiva per non monitorare nessuno seppur con la capacità di distruggere la privacy tanto del terrorista, quanto dell’imbianchino.
Ma questa lotta, dai principi etici impeccabili, come si sta combattendo?
Come spesso accade nella rete, questa lotta si sta combattendo in modo non organico, se non caotico. Ci sono organizzazioni no-profit (tra le più grandi troviamo la Mozilla Foundation), che da anni lottano per il concetto di Open Web.
Mozilla supports the heroes of the Web — the developers, advocates and people who fight to protect and advance the open Internet.
Concetto giustissimo che si basa sul rifiuto di fondare il web su quelle tecnologie private e ad accesso limitato ed esclusivo che creerebbero un oligopolio commerciale, con una conseguente limitazione della crescita. Ma c’è di più.
Questa lotta ha, intrinsecamente, una validità ben più alta: quella di garantire una poliedrica quantità di informazioni a cui rivolgersi. Il problema di Internet è, infatti, la qualità delle informazioni. Con pochi clic possiamo trovare enciclopedie e dizionari la cui provenienza potrebbe essere dubbia. Come si può certificare la qualità? Wikipedia è un tentativo interessante che in questi anni sta sorgendo in modo piuttosto convincente. Ci sono fonti citate, ci sono informazioni di repertorio, insomma non sempre notizie riportate all’interno sono frutto di invenzione o sono di origine sconosciuta. La qualità su Internet è ciò che è alla base delle numerose critiche fatte alla rete anche se, per molti, è il punto di forza di menti e spiriti diversi. Ma l’Open Web è solo una delle lotte.
Una seconda battaglia per i “diritti dei navigatori virtuali” è quella concernente la privacy. Il tracciamento delle informazioni da parte di compagnie governative, o para-governative che, a quanto si legge in molti manifesti, dovrebbe essere ridotto all’osso. Chi è il nemico qui? Per gli americani il problema è la National Security Agency. Sul sito Reset the Net si legge:
THE PROBLEM
The NSA is exploiting weak links in Internet security to spy on the entire world, twisting the Internet we love into something it was never meant to be: a panopticon.
THE SOLUTION
We can’t stop targeted attacks, but we *can* stop mass surveillance, by building proven security into the everyday Internet.
La visione che si forma del concetto di Stato, all’interno di Internet, è di una landa in cui il potere viene esercitato da pochissime super-potenze che spiano la vita di ciascuno di noi e la tracciano per poterla successivamente “usare” in qualche piano globale. È vero?
Prism, Echelon…sono nemici?
Tutti abbiamo sentito parlare del sistema Prism, con il quale le agenzie federali (e non solo) statunitensi riescono ad incrociare i dati provenienti dai principali provider e social network di Internet. Yahoo, Microsoft, Facebook, Apple, Google, YouTube, PalTalk, AOL, etc…
Tutto viene registrato, incrociato, analizzato (forse neanche troppo bene) e tutto dovrebbe far brodo anche se, avere troppi dati da analizzare è come non averne nessuno. Stessa cosa per Echelon, il sistema di sorveglianza delle comunicazioni globali.
Resta da chiedersi se questi strumenti sono da considerarsi veri e propri nemici. Essendo strumenti sono “neutri”, a farne la differenza è l’impiego più o meno lecito che i governi decidono di farne. Certo è che quando questi strumenti sono in grado di prevenire catastrofi, sono considerati “amici”. Altrimenti sono oggetto di teorie infernali sulla dominazione del mondo.
Il punto di vista dovrebbe essere diverso: perché sono stati inventati?
Prism, Echelon, sono stati inventati perché la rete è intangibile, i suoi confini non si riescono a sondare, a perimetrare e questo fa della rete un’entità libera per definizione. Proprio per questa rarefazione, è stato necessario creare strumenti che potessero fare l’impossibile: intercettare tutto. La qualità della buona intercettazione non è data dalla quantità, lo abbiamo detto, ma dal valore delle informazioni. Ma sondare la rete partendo da risultati qualitativi è praticamente impossibile. Per questo, sistemi come Echelon, intervengono su filtri incrementali applicati alla totalità delle comunicazioni. È una violazione della privacy? Sì, sotto certi aspetti. Ma c’è anche l’impossibilità di fare altrimenti. Ciò che cambia, quindi, è la logica con cui sono applicati questi strumenti.
Cosa fare concretamente?
Libero non significa non controllato. Libero significa accessibile da tutti e correttamente regolamentato. I vincoli imposti dalla Cina sono continuamente aggirati dai giovani che, cambiando DNS, usando appositi proxy, riescono ad uscire fuori dal meccanismo della censura forzata. E se lo scopo dello Stato è quello di non farsi identificare come un nemico, è fondamentale che questo offra un solido equilibrio normativo oltre che sociale. Gurvitch ha ragione: le regole sono formalizzate dallo Stato ma quelle dello stato non sono le uniche e lo Stato non può ignorare quelle sociali.
La carta dei servizi della rete internet è uno sforzo verso il quale stanno andando molti paesi ma è solo il primo di una serie di passi di cui, senza dubbio, il secondo è la corretta formazione.
Internet è un mondo ed in un mondo non si naviga a casaccio. Ci sono delle regole perché ogni mondo ha i suoi rischi e pensare di azzerare tali rischi è un’utopia stupida. È importante che ci sia un’etica nelle comunicazioni sulla rete, che ci sia la sensibilizzazione verso la sicurezza e la divulgazione di informazioni. È importante che vi sia il rispetto delle leggi e delle autorità preposte al controllo, esattamente come è importante pretendere che queste autorità non esagerino nel loro ruolo di controllori.
Di conseguenza, ancora una volta, per mantenere Internet un luogo libero è fondamentale che vi sia un’azione sociale prima che una tecnica. È importante che vi sia regolamentazione e comprensione verso i diritti e i doveri di uno Stato che ha il compito di tutelare la sicurezza dei cittadini.
Di sicuro la risposta non è l’abbattimento di tutte le strutture di controllo. Purtroppo, in questa lotta (come in tutte) esistono frange estremamente anarchiche. Per tali frange Internet dovrebbe essere un luogo ad accesso assolutamente privato e cifrato come per il deep web. Gli effetti, capite da soli, sarebbero devastanti.
Solo i paesi più avanzati raccoglieranno davvero questa sfida, portandola avanti con i criteri più appropriati. L’Italia riuscirà a far parte di questo scenario?